Dopo aver prestato servizio come bersagliere, fu rinchiuso nel campo di prigionia di Coltano, dove c'erano, tra gli altri, anche Valter Chiari ed Enrico Maria Salerno. «I giovani che sono andati a Salò dovrebbero essere più rispettati se non altro per i loro ideali ispiratori. Chi è andato su sapeva di finire male: non va abiurato», disse negli anni migliori della sua fulgida carriera televisiva. Sul finir della guerra l’Italia era Salò, e chi entrò a farvi parte lo fece per non rinunciare all’onore della sconfitta, già prevedibile, ma che non toglieva anzi dava maggior lustro al gesto eroico di chi non volle abbandonare la nave fino all’ultimo. Una coerenza che Raimondo Vianello ha mantenuta intatta anche dopo la fine della guerra, non avendo mai né rinnegato né nascosto la sua scelta, forse non di fascista, ma certamente di vero italiano.
Vogliamo dunque ricordare Raimondo Vianello, e raccontarne a chi non potrà serbarne un suo proprio ricordo, con una duplice immagine: da un lato la sua coraggiosa giovinezza, dall’altro la sua elegante maturità, un contegno che fungerà da prezioso modello per chi vorrà provare a riportare la televisione italiana, dal volgare circo equestre al quale è oggi ridotta, agli assai piú fini e aggraziati temi e modi di fare spettacolo ch’essa ebbe la fortuna di conoscere nei suoi primi decenni. In quell’epoca l’Italia ebbe la possibilità di esprimere il suo vero livello culturale anche in spettacoli leggeri come quelli televisivi, e furonono artisti come Vianello che glielo permisero, permettendo a noi oggi di disconoscere il lordume mediatico che ci viene propinato da una torma di triviali emittenti.
Onore a Raimondo Vianello: presente fino ad oggi, presente ancor da oggi.
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